LORENZO BANDINI, STORIA DI UN ITALIANO SFORTUNATO

LORENZO BANDINI, STORIA DI UN ITALIANO SFORTUNATO

La nostra rubrica è un posto dove possiamo dare spazio a chi magari sui libri di storia non è menzionato come meriterebbe. Un esempio che calza a pennello è sicuramente quello di Lorenzo Bandini, nato nell'allora Libia italiana nel 1935 ed emigrato da bambino nelle terre emiliane, quelle che negli anni a venire sarebbero divenute simbolo dei motori a tinte tricolori. 

Le prime esperienze nelle corse sono a dir poco curiose: talmente è tanto l'amore per le auto che, poco più che ventenne, l'italiano comincia a correre con una Fiat 1100 del suocero dalla quale il sabato smontava il normale motore per metterne uno elaborato fatto apposta per le gare, per poi rimontare il propulsore di serie la domenica sera una volta smessi i panni del pilota.

Dopo aver perso il ballottaggio nel 1961 per una Ferrari messa a disposizione dalla FISA per il gran premio di Francia, che andrà poi a Giancarlo Baghetti, il giovane debutta in F.1 quell'anno al gran premio del Belgio con una Cooper Maserati della scuderia Centro Sud, con la quale correrà quattro gare con un ottavo posto come miglior risultato; quanto basta per farsi notare da Enzo Ferrari, che per il 1962 lo vuole al volante delle sue rosse. Bandini inaugurerà la sua permanenza a Maranello con un terzo posto, un episodio isolato che quell'anno non verrà più replicato.

Dopo un 1963 vissuto tra la BRM della scuderia Centro Sud e la squadra ufficiale Ferrari, si arriva finalmente al 1964, il suo anno migliore. Dopo un inizio difficile, per Lorenzo arriva la prima vittoria in carriera in Austria, sfruttando anche il ritiro di Dan Gurney con la Brabham. Si rivelerà inoltre un fondamentale alleato per la conquista dell'alloro iridato del compagno di squadra Surtees, cedendogli la seconda posizione finale nella tornata conclusiva della corsa, non prima di aver attardato al trentesimo giro Graham Hill con un contatto, che gli varrà un curioso regalo di natale da parte del britannico, tipico della sua personalità e humor british: un manuale di guida sicura.

Dopo un grigio 1965, il 1966 sembra essere il suo anno: con il nuovo avvento della formula 3 litri, il nuovo V12 di Maranello viene accreditato come il propulsore più potente del lotto; inoltre dopo le prime tre gare, complice anche l'abbandono burrascoso di Surtees alla scuderia, si ritrova in testa alla classifica e ad essere la prima guida in Ferrari. Il sogno però si interrompe subito, tra grigie prestazioni e mancate partecipazioni a causa di scioperi e trasferte troppo costose.

Sempre per questo motivo, il 1967 dell'italiano comincia solo a Montecarlo. La 312 F1 si presenta come una delle monoposto più belle e interessanti della griglia. La gara vive sul duello tra il nostro portacolori e la Brabham di Denny Hulme. Qualcosa però a un certo punto sembra non andare; il pilota perde improvvisamente terreno, e non risponde più ai cartelli esposti dal box. Poi la tragedia. Spossato all'interno dell'abitacolo, al giro numero 81 una ruota sbatte contro una bitta di ormeggio, facendo capovolgere la vettura che prende immediatamente fuoco. Giancarlo Baghetti e l'erede al trono di Spagna Juan Carlos cercano di indirizzare le squadre di salvataggio che, memori dell'incidente di Ascari, cercano il pilota in mare.

Tutto si rivelerà inutile. Le ustioni riportate dal pilota risultano essere troppo gravi e, dopo due giorni d'agonia, il Signore se lo verrà a prendere, come titolava all'epoca la Gazzetta dello Sport. Ai suoi funerali parteciparono circa 100000 persone, e perfino papa Paolo VI gli dedicherà un messaggio di cordoglio; una testimonianza che ci ricorda che per vivere nei ricordi degli appassionati non serve avere sempre ricchi palmares o bacheche piene di coppe. Certe volte basta avere il trofeo più importante: un cuore grande.

Scritto da Diego Romano
Foto: Repertorio storico

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