JOCHEN RINDT, IL CAMPIONE ALLA MEMORIA

JOCHEN RINDT, IL CAMPIONE ALLA MEMORIA

Grindt, per le sue doti sul giro secco. Dynamite, per via del piede destro pesante. Tiger, per via del suo naso schiacciato che ricorda quello di una tigre. Sono questi i soprannomi affibiati a Jochen Rindt, pilota originario di Magonza, ma che per tutta la carriera corre con licenza austriaca.

La vita lo mette già alla prova fin da piccolissimo, quando a nemmeno due anni perde entrambi i genitori in un bombardamento aereo inglese, venendo cresciuto dai nonni in Austria, che gli faranno mantenere passaporto tedesco per non fargli perdere la sostanziosa eredità di famiglia, che gli tornerà utile per il proseguimento della sua carriera.

Ribelle e scanzonato fin da giovane, sui banchi di scuola conosce il suo compagno di scorribande e di corse clandestine, che lo inizierà ai primi passi nel motorsport: Helmut Marko. 

Come per tutti i futuri campioni, c'è una corsa, un evento particolare che lo consacra come talento emergente; è una gara di Formula 2 sul circuito di Crystal Palace, nei dintorni di Londra, dove il giovane Rindt straccia fior di campioni del mondo affermati del calibro di Graham Hill e Jim Clark. Un buon biglietto da visita, non c'è che dire, che inevitabilmente gli spalanca le porte, anche se non proprio principali, della F.1; sul circuito di Zeltweg, a quei tempi ricavato all'interno di un aerodromo, il giovane debutta con una Brabham BRM della scuderia privata di Rob Walker, abbandonando la corsa per un problema allo sterzo. 

Tanto basta per farlo notare alla Cooper, con la quale gareggia dal 1965 al 1967, ottenendo come migliori risultati due secondi posti a Spa Francorshamps e a Watkins Glen, tutti nella stagione 1966. Nel frattempo il palmares del pilota si arricchisce di una preziosa vittoria, la 24 ore di Le Mans del 1965, agguantata al volante di una Ferrari.

Nel 1968 sembra arrivare la grande occasione. Dopo aver licenziato Denny Hulme, colpevole di aver sottratto il mondiale dalle mani del suo datore di lavoro, Black Jack affida una sua vettura a Rindt. L'avventura dura solamente un anno, disastroso sotto tutti i punti di vista. Per il tedesco con licenza austriaca arriva però una seconda possibilità, la Lotus, all'interno della quale si troverà il campione del mondo in carica Graham Hill; dopo un inizio incerto, anche a causa del grave incidente in Spagna dovuto alla proverbiale fragilità delle vetture di Colin Chapman, che verrà accusato pubblicamente dal suo pilota, riuscirà a prendersi i galloni di prima guida e instaurare una grande rivalità con Jackie Stewart.

Il 1970 sembra il suo anno. Talmente perfetto che Rindt in un intervista dichiara che tutta questa fortuna addirittura comincia a preoccuparlo. La Lotus 72 non ha rivali, il pilota vince sia di opportunismo, come a Monaco e Brands Hatch, sia di forza, come testimonia l'arrivo in volata a Hockenheim contro la Ferrari di Jacky Ickx. Si arriva così al weekend di Monza; al sabato Rindt esce dai box per cercare la pole. Un giro, due giri, fino ad arrivare al quinto; alla parabolica la macchina inizia a sbandare, scarta a sinistra, si schianta contro il guard Rail e inizia a roteare impazzita. La decelerazione è drammaticamente brusca, le ferite troppo gravi. Per lo sfortunato driver non c'è nulla da fare.

Cala così il sipario sul più bello, proprio nell'atto più importante dell'opera, che avrà comunque un lieto fine sportivo. Il pilota infatti conserverà la leadership del mondiale fino all'ultima gara, diventando campione del mondo postumo. E' la prima volta che succede.

E speriamo che rimanga l'unica!

Scritto da Diego Romano
Foto: Repertorio storico

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