JACKIE STEWART, IL PRIMO PALADINO DELLA SICUREZZA

JACKIE STEWART, IL PRIMO PALADINO DELLA SICUREZZA

La sicurezza in F.1 è stato un lungo e difficile viaggio che ha portato nel corso del tempo a salvare parecchie vite; ultima innovazione  in ordine cronologico è l'Halo, la protezione frontale in titanio introdotta nel 2018 e che sta facendo egregiamente il proprio lavoro. Di sicurezza se ne è parlato spesso, ma è stato dopo la scia di sangue del weekend di San Marino del 1994, culminata con le morti di Ratzenberger e Senna, che si è deciso di prendere in mano la situazione e di dare una decisa sterzata verso quella direzione.

Eppure a metà degli anni 60 ci fu un pilota che iniziò le prime crociate per migliorare l'organizzazione di soccorsi e circuiti: Sir Jackie Stewart, 3 volte iridato nel 1969 con la Matra e due volte con la Tyrrell nel 1971 e 1973, l'attuale campione del mondo più anziano e del quale oggi festeggiamo il traguardo delle 86 candeline sulla torta.

Dopo aver debuttato con la BRM nel 1965, e aver vinto in quell'anno la sua prima corsa a Monza, l'anno successivo inizia a intraprendere questa lotta in favore della sicurezza, dopo un evento pericoloso che lo vede protagonista. Siamo in Belgio, il 12 giugno del 1966, nella Spa Francorshamps ancora caratterizzata dal layout originale di circa 14 km. Lo scozzese è vittima al primo giro di un grave incidente, come tanti spesso che accadevano ai quei tempi; la situazione però appare fin da subito seria: il pilota è intrappolato all'interno della vettura dal piantone dello sterzo deformato, e una fuoriuscita di carburante sta impregnando la sua tuta. Dei soccorsi non vi è traccia, tanto più che Stewart verrà liberato da alcuni colleghi (Graham Hill e Bob Bondurant) grazie ad una chiave inglese proveniente da un kit in possesso di uno spettatore. Quello che segue ha del grottesco, una scena tratta dalle Comiche che ad oggi appare impensabile; l'alfiere della BRM viene prima portato al pronto soccorso del circuito, dove viene medicato steso per terra in mezzo a sporcizia varia e ad una miriade di mozziconi di sigaretta che rischierebbero in un attimo di trasformarlo in una torcia umana. Una volta ultimate le medicazioni iniziali, viene trasferito all'ospedale di Liegi; l'ambulanza riesce nell'impresa di perdersi almeno un paio di volte prima di giungere a destinazione.

E' la classica goccia che fa traboccare il vaso. Di lì a poco comincerà la sua crociata verso soccorsi più efficienti e la costruzione di barriere di sicurezza ai lati della pista. Arriva addirittura a pressare gli organizzatori dei gran premi a modernizzare i circuiti e invitare i colleghi a boicottare i tracciati più pericolosi almeno finché non fossero stati resi sicuri. Come ogni battaglia che si rispetti, oltre ai sostenitori ci furono ovviamente anche detrattori, anche tra i suoi colleghi; a distanza di anni Stewart dichiarerà "se avessi detto quello che gli altri avrebbero voluto sentire forse sarei stato un campione più popolare. Forse morto, ma più popolare".

Nonostante il suo impegno, lo scozzese vedrà ancora molti piloti perdere la vita. Di uno in particolare rimarrà particolarmente scosso, l'amico e compagno di squadra François Cevert. A Watkins Glen, già campione del mondo, Stewart avrebbe dovuto correre il suo gran premio numero cento prima di abbandonare le corse. Il contatore rimarrà però fermo a 99, in segno di rispetto e lutto verso un'altra vita spezzata dall'amore per la velocità.

Quando dopo un duro incidente, riusciamo a vedere il pilota uscire con le proprie gambe, o almeno a cavarsela con qualche botta o ferita, ricordiamoci sempre di questo campione del mondo dal sorriso ruggente, dai capelli lunghi e dalle inconfondibili basette, che fu il primo a prendere una netta posizione, sfidando anche il sistema, per una F.1 migliore.

Scritto da Diego Romano
Foto: Repertorio storico

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